A Calenzano, quasi un grembo materno

26 luglio 2017

CALENZANO (FIRENZE). Uno dei tanti centri metropolitani fiorentini in espansione si è arricchito di una nuova elegante architettura: il complesso parrocchiale Maria Santissima Madre di Dio, inaugurato lo scorso maggio, opera di Fabrizio Rossi Prodi che nel 2012 ha vinto un concorso a inviti bandito dall’Arcidiocesi di Firenze a cui hanno partecipato anche Paolo Zermani (secondo classificato), Simona Livi (capofila del raggruppamento composto da Claudio Calcinai ed Enrico Carlone; terzo classificato); Fabrizio Donzellini e Antonio Marchesi (cfr. “Il giornale dell’Architettura”, n. 111, dic. 2012).

Committente del nuovo complesso, la parrocchia di San Niccolò la cui sede originaria, piccola pieve romanica nella parte alta del paese, è divenuta decentrata rispetto alla nuova scena della vita urbana, scivolata a valle dell’antico castello con la nuova Biblioteca comunale, nuovi interventi di edilizia residenziale e la sede del Corso di laurea in Disegno industriale dell’Università di Firenze. La nuova chiesa, aderendo al profilo curvilineo dell’assetto stradale pedecollinare, riannoda questi diversi eventi urbani, proponendosi come motivo di coerenza di un paesaggio per altri versi frammentario.

Conformemente al bando di concorso, e a quanto la CEI da anni suggerisce, ciascun gruppo di progettazione doveva avvalersi della collaborazione di un artista e di un liturgista: Rossi Prodi ha collaborato con lo scultore Giorgio Butini e con don Severino Dianich.

L’intervento compone tre nuclei fondamentali in una geometria riconoscibile e formalmente unitaria: i locali di ministero pastorale, la casa canonica e il triplo volume della chiesa la cui facciata si offre percepibile dal sagrato e da un parco comunale preesistente. Oltre a rispondere con attenzione al tema chiave della maternità che accoglie e protegge senza opprimere, Rossi Prodi sembra sciogliere il nodo che vede l’attuale progettazione dei luoghi di culto oscillante tra invenzioni gratuite (che poco hanno a che fare con le funzioni rituali) e certa ordinarietà che ne penalizza il futuro. La chiesa sembra posarsi nel luogo con discrezione e carattere insieme, tessendone un futuro promettente. Sin dall’esterno – interamente rivestito di travertino – si percepisce un’intensa dimensione di raccoglimento, veicolata anche dal piccolo albero d’ulivo lasciato galleggiare sullo sfondo bianco della facciata.

Una volta varcata la soglia, si è accolti da uno spazio avvolgente e materno, quasi un grembo, cui rimanda anche l’origine parabolica della pianta, primo elemento ad annunciare l’equilibrio che informa l’intera costruzione, bilanciamento ben temperato di semplicità, rigore formale ed espressività “naturale”. All’insegna di questo equilibrio anche i materiali impiegati – marmo e legno – intrecciati in particolari che reggono l’osservazione del dettaglio e arricchiscono la visione d’insieme svelandone via via il carattere sacro ma al contempo di luogo di preghiera per gli uomini. Umanità che plasma anche il Cristo in bronzo sbiancato realizzato da Butini su una grande croce in legno di cipresso che raccoglie gli sguardi dei fedeli con forza e semplicità “terrene”, quasi un approdo per l’asse della navata sulle cui pareti laterali si svolge il piccolo grande racconto della Via Crucis, con 14 formelle in marmo bianco di Carrara. Il coro di queste attenzioni concorre a rendere il luogo accogliente e ogni elemento, arredi compresi, è composto con discrezione e mai esibito, così da favorire la concentrazione e la preghiera.